Sabato della II Settimana di Avvento (B)

Mt 17,10-13

Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».
Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro».

La Sacra Scrittura conserva in se tutta la verità. Conoscere la Sacra Scrittura vuol dire avere la verità davanti ai nostri occhi, ma non sempre vuol dire comprenderla. Solo Dio può conoscere Dio. Solo lo Spirito Santo può conoscere la volontà del Padre. Gesù è venuto per fare di noi creature nuove; figli, amici e non più servi, perché il servo non partecipa al progetto del suo signore, ma esegue ciecamente…..
Gesù ci guida affinché diventiamo persone spirituali, ci dona lo Spirito Santo, quindi la possibilità di comprendere, di conoscere, di partecipare, di essere uniti al Padre e al Figlio per mezzo dello Spirito.

Gli scribi avevano una grande conoscenza intellettuale della Scrittura ma spesso il cuore era lontano e rimanevano chiusi alla grazia. Attendevano Elia….attendevano il Messia…..”ma Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto”. Il Messia lo hanno davanti ma….“anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”. Che tristezza pensare che tante volte abbiamo la felicità davanti ai nostri occhi e non la vediamo; abbiamo il cammino della nostra vita vicino e non lo riconosciamo, continuando a vagare smarriti e stanchi; abbiamo il Cristo davanti che ci accoglie a braccia aperte e malediciamo il cielo per sentirci soli e abbandonati.

C’è bisogno di preghiera. La preghiera fatta di silenzio, di ascolto, di accoglienza. La preghiera ci renderà vigili e capaci di riconoscere la Luce che brilla nelle tenebre. Quando preghiamo chiediamo sempre qualcosa che pensiamo di non avere…. preghiamo col desiderio di riconoscere quello che già ci è stato dato in abbondanza e non abbiamo saputo riconoscere, apprezzare, accogliere.

Giovedì della II settimana di Avvento (anno B)

Mt 11,11-15

In quel tempo Gesù disse alla folla: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono.

La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi intenda”.

 

“In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Giovanni Battista è stato un grande uomo e Gesù lo riconosce e ciò rimane scritto in calce nel vangelo per gli uomini di tutti i tempi. Una vita penitenziale, una vita di preghiera, il coraggio dell’annuncio nelle situazioni più difficili fino al martirio. Tra i nati di donna non è sorto un uomo più grande e mai sorgerà, “tuttavia” ci sono altri uomini che sono più grandi e fa il paragone prendendo l’esempio del più piccolo di loro, cioè colui che potrebbe avere meno valore fra questi uomini tuttavia è più grande di Giovanni il Battista: questi uomini sono coloro che vivono nel regno dei cieli.

Ma chi sono questi uomini? Intanto chiariamo che i nati da donna siamo tutti quanti, quindi Giovanni è un grande per l’intera umanità. Pur tuttavia, dentro questa umanità ci sono uomini che sono rinati ma non più da donna ma dall’alto.

«In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. (Gv 3,3-6). Questa è la novità e la differenza dall’avvento di Cristo, rinascere come nuova creatura. Questo “rinascere” vuol dire credere il Lui, seguirlo mettendo in pratica la Sua Parola, seguendo il Suo esempio e lasciarsi lavorare dallo Spirito. Serve tanta umiltà perché rinascere vuol dire tornare anche bambini disposti ad imparare da zero per avere una nuova visione delle cose, dal punto di vista di Dio e non più il mio.

Rinascere vuol dire prima morire all’uomo vecchio e risorgere come uomo nuovo: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,1-3).

Essere già nei tempi nuovi cioè sotto la restaurazione compiuta da Cristo attraverso la Sua morte e resurrezione, non vuol dire che ogni uomo vive già sotto la luce del regno dei cieli. Infatti il vangelo di oggi lo spiega con queste parole: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”…. Siamo chiamati a rinascere come persone nuove o nella Chiesa saremo quei violenti che vogliono impadronirsi del regno dei cieli rimanendo però uomini vecchi, schiavi del peccato e strumenti del male.

Giovedì della I settimana di Avvento (anno B)

Mt 7,21.24-27

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.

Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.

Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

 

“Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Oggi mi fermerei davanti questa frase per rileggerla tante volte e come chi volesse guardare lontano e nel profondo.

Gesù, cosa vuoi dirmi? Cosa vuoi insegnarmi? Per me invocare il tuo nome è preghiera. Ti sento vicino, ti sento rifugio. Tante volte la mia preghiera si limita proprio a queste parole, non nel chiedere ma nel sapere che tu ci sei e ascolti la mia voce, il mio grido che ti chiama: “Signore, Signore”: a volte con sentimenti di gioia, altre di dolore, o smarrimento, o paura, o dubbio, o solitudine o semplicemente di desiderio di te. Quel “Non chiunque…” chi esclude e perché? Fare la Tua volontà tante volte non mi viene facile perché la mia umanità soggetta al peccato spesso si ribella e come diceva anche san Paolo così capita a me: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19).

            “Non chiunque mi dice […], ma colui che fa…”. La differenza fra questi due concetti evidenziati sta nel fatto che si può “dire” qualcosa senza crederci, senza immergersi in quella realtà, senza sentirla propria. Viceversa qualcosa che “si fa” suppone un coinvolgimento, un entrare in quella realtà, un lanciarsi in quella dimensione anche se poi il risultato non è dei migliori.

Gesù in un altro passo del vangelo si è definito di essere Lui stesso la Via, la Verità e la Vita (cfr. Gv 14,6); Lui è il Regno dei Cieli presente sulla terra (cfr. Mt 12,28). Gesù ci chiede di seguire Lui (nel discepolato), di entrare in Lui (con la preghiera), di alimentarci di Lui (attraverso la Parola e l’Eucaristia). Quegli “esclusi” a cui si riferisce il vangelo sono coloro che ricorrono a Cristo, (“Signore, Signore”) ma non vogliono vivere per Cristo, con Cristo e in Cristo e quindi si autoescludono dal Regno dei Cieli perché il Regno è Lui stesso.

Chi è capace di comprendere questo messaggio ha scoperto il modo migliore per vivere la sua vita: è saggio, non vacillerà e non soccomberà sotto le prove della vita. Sarà felice sulla terra e sentirà il Cielo come sua patria perché “ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”.

Mercoledì della I settimana di Avvento (anno B)

Mt 15,29-37

In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.

Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».

Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.

 

La Chiesa oggi ci presenta un vangelo che è pieno di simboli:

Il mare di Galilea, luogo attorno al quale si è svolta la missione di Gesù ed è il luogo della pesca, dove disse ai primi apostoli chiamati: “Vi farò pescatori di uomini”.

Il monte luogo del raccoglimento, della preghiera, dell’incontro con Dio.

La folla fatta di gente stanca, confusa, oppressa, ammalata. E proprio quegli uomini devono essere “pescati” da quel mare di dolore (mare di Galilea) e sanati dall’incontro con Dio (sul monte con Gesù).

 La Chiesa rappresentata da questo dialogo e collaborazione fra Gesù e i suoi discepoli più intimi: “Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla” […] “E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?”. Questa domanda dei discepoli è la domanda che continua a fare a Gesù la Chiesa di tutti i secoli che é immersa nel deserto delle ostilità che la circondano e la debilitano ma con difficoltà persevera.

Gesù è pronto ad intervenire ma vuole farlo con la collaborazione dell’uomo: “Quanti pani avete?” Gesù benedice e moltiplica quelle poche risorse umane e li trasforma in cibo e forza divina. Affinché però questa grazia divina, cibo spirituale, guarigione totale arrivi a “una folla così grande” occorrono due condizioni:

l’azione della Chiesa (“ prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla”)

e la disponibilità dell’uomo ad accogliere questa grazia per mezzo della Chiesa (“Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra…”).

Per tre volte si ripete in questo testo il numero “sette” che nella Bibbia ha valore di perfezione e pienezza. Questo è il messaggio che ci viene dato: Gesù è la pienezza della vita dell’uomo, della nostra vita. In Lui troviamo la guarigione da ogni male, la gioia e lo stupore nella vita, il riposo dalle fatiche e la forza per continuare nel cammino, risorse nuove inaspettate, ogni sazietà e beni in abbondanza.

Il mondo di oggi cerca questa dimensione ideale, ma senza Gesù. Abbonda di beni ma si sente sempre povero e affamato; vive nel lusso e nella festa ma si sente sempre solo e infelice; sta raggiungendo l’elisir di lunga vita ma si suicida per farla finita.

Martedì della I settimana di Avvento (anno B)

Lc 10,21-24

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

 

Gesù esulta di gioia nello Spirito Santo…. Questo breve vangelo esprime una esplosione di gioia, di gratitudine, di lode di Gesù verso il Padre. Come l’esultanza di Maria si esprime attraverso le parole del Magnificat così anche Gesù in questo testo canta la sua lode al Padre facendosi anche portavoce di tutti gli uomini umili e poveri, piccoli e semplici che però sono “beati” perché rientrano nella “benevolenza” del Padre. “Tutto è stato dato a me dal Padre mio”….anche se sono un povero tra i poveri, e nessuno sa nella pienezza chi sono veramente, “se non il Padre” e nessuno, per quanto abbia condotto vita ascetica e studiato la Legge conosce veramente il Padre, ma solo questo povero, “il Figlio” che da Lui viene.

Il Figlio vuole rivelarlo. Guardandosi attorno si trova circondato da uomini piccoli e semplici, sono essi, i discepoli che hanno avuto la capacità di vedere oltre e di ascoltare col cuore riconoscendo la Verità. “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono”….. Il Padre “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.

Lunedì della I settimana di Avvento (anno B)

Mt 8,5-11

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».

Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».

Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

 

Com’è bella la figura di quest’uomo, il centurione, un potente che si prende cura del debole partecipando della sua sofferenza; uomo dall’aspetto forte e il cuore tenero, al servizio del Cesare ma dalla fede esemplare. Può insegnarci tanto a noi uomini di oggi che con difficoltà sappiamo conciliare questi aspetti apparentemente contrastanti fra loro ma che qui appaiono in perfetta armonia. Veramente per essere grandi bisogna schiacciare i deboli? La forza e la virilità stonano con la sensibilità e la tenerezza? Lo Stato deve essere laico e la scienza incompatibile con la fede?

Gesù davanti la bellezza e integrità di quest’uomo risponde prontamente alla sua preghiera:  “Verrò e lo guarirò”. Altra virtù si aggiunge a questa figura esemplare, l’umiltà: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…”, e riconosce il potere della parola di Gesù. Questo rientra nella sua forma mentis di soldato che vive inserito in una gerarchia e dà il giusto valore a una parola, a un comando. Anche Gesù, il maestro, appare agli occhi del centurione come il capo di una gerarchia composta da apostoli e discepoli….e come un comando del Cesare che arriva attraverso l’ultimo dei soldati ha l’autorità del Cesare stesso, così una Parola di Gesù che arriva attraverso un suo discepolo ha lo stesso potere di guarire, liberare, resuscitare, guidare, che ha Gesù in persona.

Molte volte mi capita di incontrare persone che mi dicono di credere e amare Gesù ma non credere nella Chiesa, nei suoi ministri, citando reali miserie umane di cui è segnata. Ma si può credere e amare una persona e non credere in ciò che pensa e fa, nel suo progetto? Gesù stesso ha istituito questa Chiesa che sin dagli albori era formata da uomini pieni di limiti, debolezze, peccati. Eppure mandava proprio quelli, a due a due, a predicare, sanare dalle malattie, scacciare i demoni….dando la Sua Autorità. Veramente chi non ama la Chiesa può amare Gesù Cristo? …o forse ama una proiezione che si è creata nella sua mente di un cristo personale e immaginario?

Gesù guardando noi, nuovo popolo di Israele, trova una fede così grande verso la sua missione che passa oggi attraverso questa povera Chiesa?

I DOMENICA DI AVVENTO (Anno B) – commento al Vangelo

Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

 

Comincia il tempo di Avvento, un tempo di grazia, ma già presente in ogni giorno dell’anno con l’attesa della seconda venuta di Cristo nel giorno della Parusia, ma anche nell’attesa dell’incontro con Cristo risorto che si manifesta lungo la storia in diversi modi e con molti segni, soprattutto nella storia personale d’amore di ogni uomo con Lui.

Se l’Avvento già lo viviamo, o almeno dovremmo viverlo giorno dopo giorno nella nostra vita, cosa differenziano i giorni che ci approntiamo a vivere in queste quattro settimane di Avvento come tempo liturgico dagli altri giorni dell’anno? Beh, certamente rivedere e verificare come stiamo vivendo questo stato di attesa, se lo viviamo come persone vigili, che vegliano aspettando con desiderio l’incontro col Cristo, l’incontro con una persona reale oppure viviamo l’Avvento come conoscenza di una dottrina appresa dall’insegnamento della Chiesa, una informazione in più immagazzinata nella nostra cultura ma che rientra nella routine delle molte cose vissute in modo superficiale.

Ben quattro volte in un testo del vangelo così breve si ripete l’invito a vegliare. Potremmo dire cinque considerando l’altra espressione: “non vi trovi addormentati”. Chi dorme è presente in un luogo ma senza rendersi conto di ciò che gli accade attorno, del tempo che trascorre dormendo. In questo periodo di fine anno liturgico le letture ci invitavano a riconoscere i segni dei tempi, ad essere vigili e a non lasciarci ingannare. Si; non rispondere a questo invito insistente oggi vuol dire che inganniamo noi stessi. “Quello che dico a voi lo dico a tutti” – dice il vangelo – “Vegliate”, cioè rispolverate la fede in Gesù risorto e presente, una fede che non si limiti al credere nella sua esistenza lì in qualche parte del cosmo ma nel maestro presente che ci precede in Galilea, nella nostra casa, città, lavoro, famiglia, studio, comitiva di amici e lì ci ricorda il messaggio delle Beatitudini come stile di vita evangelico. Rispolverare la speranza che spesso rimane una parola vuota come una lampadina che non emette più luce. Imitiamo Maria, maestra nell’Avvento, colei che ha vissuto prima di tutti la luce della speranza, prima di far nascere in questo mondo di tenebre la vera Luce. Una speranza che è andata crescendo e fortificandosi nella preghiera silenziosa del suo cuore; fidandosi di quelle parole dell’angelo e meditandole nel suo cuore, quelle parole si sono fatte carne in lei prima ancora che la Parola si facesse carne nel suo ventre. E infine rispolveriamo la carità. Dio è amore che si dona. Dove non c’è amore non può esserci la Sua presenza. Senza l’amore qualunque altro gesto, progetto, meta rimangono privi di significato e di utilità. Rialimentiamo il fuoco di queste tre virtù attraverso la preghiera e l’imitazione di Cristo e di Maria e questo ci renderà vigili al suo passaggio, alla sua presenza, alla sua venuta. La vigilianza e la vita nelle tre virtú farà noi stessi Alter Christus per molti fratelli che vivono l’avvento nella speranza dell’incontro con Lui.

Commento al Vangelo della Domenica XXXI del T.O. (Fratel Bernardo di Gesù Povero)

Mt 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:

«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

 

Il vangelo di oggi continua a parlare e insegnare  alle folle e discepoli di tutti i tempi e vuole metterci in guardia da qualcosa di molto pericoloso. Una lettura sbagliata del vangelo potrebbe far pensare che Gesù avesse un’antipatía congenita verso gli scribi e farisei del tempo tanto da fare molti riferimenti negativi nei vangeli verso i loro atteggiamenti. E oggi quasi con dispiacere sembra affermare che “sulla cattedra di Mosé si sono seduti” proprio loro: “scribi e farisei”. Beh anzitutto chiariamo che non è da Gesù e non è da Dio avere antipatie verso nessuno. Quindi, se ci siamo fatti una idea del genere è meglio scartarla. E allora che? Sembra stia screditando e mettendo in mala luce le guide del suo popolo… Se fosse cosí, cosa ci guadagnerebbe in questo? Non c’è nulla di peggio di un regno diviso in se stesso perchè è destinato a crollare e questo Gesù lo sa, lo ha detto proprio lui riferendosi al regno del maligno: Satana non va in lotta contro se stesso e i suoi ministri (cfr. Mt 12,24). E ciò che non fa l’astuto maligno dovrebbe farlo il Cristo che è la suprema sapienza? Di certo no! Anche noi conosciamo che risultati negativi ci sono in una familia quando uno dei genitori scredita l’altro davanti ai figli…..

Gesù non ci sta mettendo in guardia contro delle persone ma contro un atteggiamento negativo che è l’ipocrisia, che si annida nel cuore delle persone. Gesù questa domenica non sta parlando solo ai sacerdoti, vescovi e papa ma a tutti coloro che esercitano un ufficio di guida e responsabilità sugli altri. Ai tempi di Gesù il potere religioso, político, giuridico era unificato nella stessa persona. I capi religiosi avevano potere su ogni aspetto della vita del popolo. Oggi non è più cosí e ciascuno deve sentirsi interpellato nel suo campo. Molti approfittano ascoltando questo vangelo per criticare ancor più le guide della Chiesa di oggi facendo leva sul fatto che anche Gesù è contro di loro, la loro forma di agire, e quindi autogiustificano in questo modo un loro allontanamento dalla Chiesa. Ma Gesù non ha detto questo, anzi afferma: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono” perchè ciò che vi annunciano è parola di Dio e non parola d’uomo. Gesù continua il suo discorso dicendo: “ma non agite secondo le loro opere” come a mettere in luce che anch’essi sono uomini e possono sbagliare o possono non essere ancora capaci di vivere quel messaggio che stanno predicando. Non possiamo cambiare la verità di Dio secondo ciò di cui siamo capaci. Il sacerdote è uno strumento, la voce di un messaggio che viene dall’alto e allo stesso tempo discepolo di quel messaggio che a poco a poco deve trasformarsi in vita vissuta. È vero, ci aspettiamo dal sacerdote, dal político, dal giudice, un modello da seguire, un esempio concreto di quel messaggio annunciato, ed è giusto che sia cosí, ma non sempre si è già arrivati lí dove si deve arrivare. Ricordo che da bambino (come tutti i bambini) avevo una visione dei miei genitori come degli esseri perfetti, impeccabili, che non potevano sbagliare, che avevano la verità assoluta. Le loro verità erano le mie verità; guardavo il mondo con i loro occhi e le loro azioni e decisioni erano le uniche corrette. Crescendo, quando cominciai a pensare con la mia testa e ad avere una visione più ampia della vita, imparai a riconoscere anche dei limiti in loro e a valutare delle scelte e decisioni più o meno azzeccate, secondo la mia personale visione delle cose. La maturità sta nel fatto di riconoscere che anche i nostri genitori sono uomini con i loro pregi e difetti, nessuno è nato con l’esperienza di essere padre o madre, ma si va formando negli anni fra successi e insuccessi assieme ai figli. La stessa cosa vale per chiunque svolge un compito di responsabilità e di guida: catechista, sacerdote, político, giudice, ecc. ecc. Non basta la teoría dello studio: l’esperienza di vita ti va formando…

Il Signore non disprezza e non rifiuta nessuno di coloro che lo vogliono servire con cuore sincero e non bada alle nostre incapacità, limiti e peccati. Lo vediamo nel profeta Geremia : “Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane….” (Ger 1,6) e lo vediamo nella chiamata degli apostoli, semplici pescatori o in Matteo il pubblicano, obbrobrio per i giudei. Anzi, Dio accoglie con gioia chi si offre disponibile come nel caso del profeta Isaia che risponderà alla voce del Signore: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8) anche se alle volte chi si offre disponibile è proprio colui che si rivolterà contro come nel caso dell’apostolo Giuda Iscariote. Ma torno a precisare: <<servire con cuore sincero>>. Un cuore sincero è proprio l’opposto di un cuore ipocrita, falso, ed è proprio quello che oggi e in tutti i vangeli denuncia Gesù e combatte apertamente. L’ipocrisia finge una perfezione che non c’è: ci si mette al di sopra degli altri, disprezando e combattendo contro le debolezze del fratello, quelle stesse debolezze che in misura maggiore abbiamo in noi però che in noi tolleriamo.

Una posizione sbagliata del mondo di oggi è quella di relativizzare il tutto e seguire l’ideale di vita: “Vivi e lascia vivere”, mettendo a tacere l’insegnamento di Dio che ci interpella e suggerisce cammini migliori. La posizione corretta sarebbe, come ci indica il vangelo, accogliere e sforzarsi di vivere il messaggio di Cristo: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono” camminando assieme come fratelli che si aiutano a vicenda  e non si giudicano. Fondamentale è l’umiltà e soprattutto una gran fiducia in Dio che ci ama di un amore unico e intramontabile.

fratel Bernardo di Gesù Povero F.s.M.A

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