Domenica XXV del T.O. (B)

Mc 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

XXII Domenica del T.O. (B)

Mc 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

 

Questa domenica parteciperò alla Santa Messa:

Eucaristía è azione di grazie: partecipo con quella gioia nel cuore e riconoscenza a Dio per il dono della vita e di ogni istante vissuto con le sue gioie e sofferenze?

Nell’ atto penitenziale chiederò perdono a Dio per i miei peccati. Riconoscerò veramente dove ho sbagliato e cercherò di cambiare quegli aspetti negativi? Metterò me stesso come modello di confronto decidendo da me ciò che è buono da ciò che è sbagliato o guardo Gesù maestro come Via, Verità e Vita?

Dispongo la mia mente e il mio cuore ad ascoltare la voce di Dio che mi parla personalmente attraverso i testi liturgici? Sta parlando a me, proprio a me, direttamente a me.

La richiesta di perdono nell’atto penitenziale e l’ascolto della voce di Dio nelle letture si trasformano nel mio cuore in preghiera affinché ottenga la grazia di operare il passaggio dalla teoria alla pratica, dal celebrato al vissuto?

All’offertorio parteciperò con qualche moneta nella cesta per le necessità della parrocchia o offrirò tutto me stesso nell’altare, per amore al Padre, in unione a Cristo, nel suo corpo mistico che è la Chiesa? Mi farò dono come il grano disposto a lasciarsi lavorare e trasformare in farina e in pane assieme agli altri chicchi di grano che sono i fratelli? Combatterò quell’individualismo che c’è dentro ciascuno di noi e mi aprirò all’altro accogliendolo con i suoi pregi e difetti, cercando di scorgere lo spirito di Dio che abita in lui?

Alla Consacrazione mi inginocchierò con la consapevolezza che lo Spirito Santo oltre a consacrare il pane e il vino sull’altare, scende a consacrare anche me che sono chiamato ad essere tempio dello Spirito Santo, tabernacolo vivente, il Cristo nel mondo? O rimarrò in piedi come segno di rispetto verso qualcosa di importante che sta facendo il sacerdote ma che a me non coinvolge personalmente?

Aprirò la mia bocca alla preghiera del “Padre Nostro” con la consapevolezza di essere figlio nel Figlio, fratello di coloro che mi circondano come una Famiglia riunita attorno alla stessa mensa e non come persone estranee sedute al bancone di un bar? È una preghiera recitata al plurale. Faccio veramente mie le necessità, le sofferenze, i progetti degli altri? Presto attenzione a quella clausola che si fa presente e reale in ogni aspetto della messa e in ogni preghiera?: “Perdona i nostri debiti così come noi li perdoniamo ai nostri debitori? Ascoltaci, così come noi siamo disposti ad ascoltare coloro che ci chiedono? Aiutaci, così come noi siamo disposti ad aiutare coloro che hanno bisogno di noi?”

Il segno della pace avrà per me quel senso di nuovo vincolo di amicizia con lo sconosciuto, con la stessa intensità con cui Gesù apparendo ai suoi apostoli dopo la resurrezione lì saluto col saluto della pace? Custodirò e alimenterò quel nuovo vincolo di amicizia cominciato con una stretta di mano per arrivare all’unione del cuore, oppure rimarrà un rito vuoto che non lascia nessun segno e l’altra persona rimarrà una perfetta estranea con cui neppure ci si saluterà in successivi incontri?

E infine la Comunione. L’Eucaristia è comunione perfetta con Dio, con se stessi e con i fratelli. La stessa carne, lo stesso sangue, la stessa grazia, circolano nel nostro corpo e nel nostro spirito. Sin da adesso siamo fratelli per l’eternità; non per il sangue destinato a scomparire con la morte ma per lo Spirito di Dio che rimane per sempre. Siamo una cosa sola con gli altri e siamo una cosa sola con Cristo. Da questo momento siamo i suoi occhi, la sua voce, il suo sorriso, le sue mani e i suoi piedi nel mondo.

La gioia di Cristo sia la nostra forza dice una delle monizioni finali. La gioia dell’incontro con Cristo nella celebrazione deve darci il desiderio e la forza di mettere in pratica ciò che abbiamo celebrato. La messa non finisce, adesso deve diventare vita vissuta.
Se oggi nel partecipare e vivere la Santa Messa non è cambiata qualcosa nel mio modo di essere, di agire e di pensare, la celebrazione rimane un rito vuoto dove onoriamo Dio con le labbra ma che il nostro cuore rimane lontano da Lui.

Domenica XVII del T.O. (B)

Gv 6,1-15

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Natività di s. Giovanni Battista (B)

Lc 1,57-66.80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.

Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».

Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.

Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

X Domenica del Tempo Ordinario

Mc 3,20-35

Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé». Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l’uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo».
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

 

Il Vangelo di oggi comincia con la descrizione dell’ambiente: Gesù entra in una casa; qualcuno lo vede comincia a diffondere la notizia. Non si parla d’altro nella comarca …. c’è Gesù!!

Ma chi è questo Gesù?

Un profeta!

È Giovanni il Battista che è tornato…

No, no, è il Messia che stiamo aspettando…..

Ma che dici… È solo un pazzo…. Uno dei tanti messia di turno come dicono i sacerdoti del tempio.

Sì, infatti… Dicono che è figlio di un falegname e cerca di crearsi un ruolo che gli dia una certa importanza.

Io non so chi sia… Però so cosa fa…. Ho visto con i miei occhi che da la vita ai morti, la speranza ai disperati, la salute agli ammalati e dell’amore fa il suo centro.


Quanti commenti attorno a Gesù, commenti positivi, commenti negativi che dividono le opinioni e le scelte. In molti vanno verso di Lui, altri rimangono fermi nel dubbio, altri si allontanano da Lui. Ma la verità è che, o in un modo o nell’altro, è presente in tutti…. Non passa inosservato.


Quelli che vanno da Gesù sono in tanti. Il Vangelo parla di una folla che riempie una casa fino al punto da creare una situazione incomoda, non ci si poteva muovere…. non potevano prendere neppure cibo.
Chissà se, i giovani di oggi avessero il coraggio di guardare Gesù, non riconoscerebbero in lui degli aspetti in comune, cioè, che Gesù non si faceva molti scrupoli nell’avere scatenato una baraonda….!?!  🙂
“Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: << è fuori di se>>”. A tutti piacciono gli applausi…. ma nel pubblico non possiamo trovare sempre tutti d’accordo e a favore. Il Vangelo dice che i suoi uscirono per andare a prenderlo…perché? per far cosa? Mettersi al suo fianco e sostenerlo o per convincerlo a desistere e tornare a casa affinché si calmassero le acque nel paese turbato? Così facendo avrebbero incontrato la comprensione e compassione della gente. Noi cosa avremmo fatto al loro posto e cosa facciamo oggi? Usciamo allo scoperto per metterci al lato di Gesù e della sua Chiesa? Restiamo indifferenti dicendo io non lo conosco, non c’entro niente con Lui e la sua Chiesa, non spetta a me intervenire….
O ci mettiamo contro di Lui, dalla parte dei potenti e dei più numerosi, giudicandolo, condannandolo, marcandolo negativamente: “Costui è posseduto da Beelzebùl” e opera come un demonio e per conto del demonio?


Quante prove il povero Gesù, quanti ostacoli, quante disapprovazioni…..
Eppure lui non si arrende, non si dispera, non retrocede, non si altera, non attacca ma utilizza ogni situazione trasformandola in occasione di annuncio e riflessione. “Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi”. Lo stesso vale per il Regno dei Cieli. Per questo Gesù ci insiste nel mantenere l’unità attraverso il vincolo dell’amore.

Questo messaggio solo in pochi riescono a comprenderlo, quelli che erano seduti attorno a Lui per ascoltarlo e non giudicarlo. Sono lì per seguirlo e compiere la Sua volontà e non per chiedere miracoli col fine di piegare la volontà di Dio ai propri interessi e capricci. Costoro sono i veri fratelli, sorelle e madre di Gesù, la sua famiglia.

IV DOMENICA DI PASQUA (anno B)

Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

          Il Vangelo di oggi possiamo definirlo come un vero e proprio “Manuale del Pastore” e non solo, ma di chiunque è chiamato alla cura amorosa verso qualcuno. Il titolo di questo manuale è: “IO SONO IL BUON PASTORE”.

          Il manuale comincia presentando la scena di cui è composta la realtà che ci circonda: ci sono pastori, lupi, pecore.

I pastori sono gli addetti a pascolare e custodire le anime, le persone….sono il papa, i vescovi, i sacerdote….ma non solo. Tutti coloro che sono stati messi a capo e responsabilità di un’altra persona, o di una famiglia, gruppo, squadra di lavoro, con scopi sociali, politici o religiosi, costoro possono, o meglio dire, dovrebbero attingere a questo manuale per poter fare un’auto analisi e domandarsi: “Sono io un buon pastore?”.

I lupi rappresentano tutti i nemici della vita, del bene, dell’anima, della persona, della società, della felicità…. Rapiscono e disperdono con l’unico fine di portare alla morte in ogni suo aspetto.

Le pecore rappresentano ogni persona creata da Dio per vivere in pienezza la sua vita terrena e camminare verso la eterna, godendo dei verdi pascoli terreni e celesti, in serenità e totale sicurezza.

          Dopo aver presentato questi tre gruppi, pastori, lupi e pecore, comincia a scendere nel profondo facendo una differenza e creando dei sottogruppi:

All’interno del gruppo “pastori” troviamo i sottogruppi “pastori buoni” e “mercenari” e ne sottolinea le abissali differenze. Stessa cosa accade con il gruppo “pecore” che vengono raggruppate in due sottogruppi: “le mie pecore” e le “pecore in generale”.

Ma andiamo nello specifico. Questo testo, questo manuale, comincia con il titolo “Io sono il buon pastore” presentando già Cristo come l’unico vero modello di pastore  da seguire e imitare. Al titolo segue direttamente una frase che racchiude in breve l’intero contenuto del manuale; spiega perchè Cristo è veramente il buon pastore e non è un’auto affermazione che fa di sé senza validi riscontri: “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”. Parallelamente affianca la figura del mercenario e inmediatamente lo mette fuori dall’appartenenza ai pastori proprio perché le sue attitudini non sono consone a questo ruolo.

Il mercenario è colui che svolge un’attività al SOLO SCOPO di trarne un guadagno. Gesù stesso ha affermato che chi lavora ha diritto alla sua ricompensa (cfr. Lc 10,7), ma lo spirito che ci spinge a svolgere bene, con competenza, passione, professionalità, giustizia quel lavoro deve essere una risposta alla chiamata di Dio a partecipare alla Sua opera di creazione (cfr. Gen 2,15) e l’amore verso il fratello bisognoso in cui Dio stesso vive (cfr. Mt 25, 31-46).

Nella vita ognuno di noi ha un compito, un lavoro, una famiglia da mandare avanti, i genitori da accudire in vecchiaia, persone da accudire all’interno di un’associazione. Chi ha fede sente questo come una chiamata di Dio, chi non ha fede la sente come un dovere morale, ma alla fine lo scopo è lo stesso. Quando a muoverci è il solo scopo del guadagno….e non mi riferisco solo al guadagno economico ma guadagno in senso ampio come notorietà, importanza, prestigio, successo, amore, gioia, sicurezza, salute, stima, affetto e cosí via…..al vedere minacciato anche uno solo di questi aspetti non dubitiamo a mollare tutto e fuggire perché chiusi nel nostro egoísmo e disinteressati del gregge che ci è stato affidato. Unico scopo è il guadagno e non si contemplano perdite…. Per questo il mercenario fugge alla vista del lupo abbandonando il gregge e mettendo al sicuro la propria vita. Cosa totalmente opposta fa Gesù Cristo, il buon pastore, che dà la sua vita per salvare il gregge: umanamente parlando quella di Gesù è una perdita totale in salute, gioia, sicurezza con la sua passione e morte in croce; perdita in notorietà, importanza, prestigio in coloro che credevano e speravano in lui come il liberatore di Israele ma poi rimasero delusi; perdita in affetto e amore degli apostoli che dovevano stargli accanto rimanendo svegli e pregando con Lui nel Getsemani e poi vicini sotto la croce…. ma fuggirono e lo abbandonarono….

L’essere mercenario è un aspetto presente in molti di noi più di quanto pensiamo…. Si rompe la famiglia perché non sento l’amore di una volta verso mia moglie o mio marito (…nel mio egoísmo mi domando: che guadagno ne ho?). Si lascia la vita religiosa o sacerdotale perchè non ci guadagno più quella pace e serenità di una volta, non sento la comunione con i confratelli, non ci trovo quella realizzazione, quella pienezza, entusiasmo e ci perdo la salute……..cioè, non ci guadagno più!! Voglio cambiare parrocchia, lavoro, paese, o semplicemente gruppo di amici perchè qui non mi sento valorizzato come persona e non vengono risaltati i miei talenti, mi sento messo in ombra….cioè non ci guadagno come dovrei e potrei!! Mi tiro fuori da gruppi parrocchiali o progetti sociali perchè mi assorbono tempo, energie…uno spreco più che un guadagno. Voglio vivere libero e senza legami così da prendere ciò che serve a me e solo a me…..però voglio vivere anche la carità verso l’altro, quando lo sento dentro, così da sentirmi apposto con la coscienza e sentirmi orgoglioso di me stesso (…al centro del mondo io e solo io!!).

Il buon pastore protege, conosce, guida, dedicando tutta la sua vita e la offre fino alla morte. Il mercenario non ha quel senso di appartenenza, non ha interesse ed è facile ad abbandonare.

          Per quanto riguarda le pecore anche lì abbiamo un sottogruppo che le distingue e sono “le MIE pecore”. Ciò che le distingue alle altre è una conoscenza reciproca fra pecore e pastore, paragonata alla conoscenza che il Padre ha di Gesù e Gesù del Padre. Una conoscenza única e speciale. Molti conoscevano Gesù ma solo il Padre ne conosce la vera natura. E così anche nessuno conosce al Padre perché nessuno lo ha visto. Solo il Figlio conosce il Padre perché da Lui è stato generato e con Lui ha vissuto. Non si parla quindi di una conoscenza esteriore e superficiale ma intima e totale. Così è anche la conoscenza fra pecore e pastore.

Altra caratteristica è che le SUE pecore riconoscono la voce del pastore distinguendola alla voce di un estraneo; la riconoscono come voce amica di cui fidarsi e nella fiducia ascoltano e seguono. Le pecore che Gli appartengono, anche se proveniente da recinti diversi, vivono una unione speciale, oltre che con il pastore anche fra di loro: “…diventeranno un solo gregge, un solo pastore”, quella unità della Chiesa che tanto Gesù chiede.

                Questo manuale ha una conclusione. Come in un altro testo del Vangelo di Giovanni riporta le seguenti parole: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21-26 ), così anche il testo di oggi riafferma lo stretto legame fra amore, libera adesione alla volontà di Dio e osservanza dei Suoi comandamenti.

          Ciascuno di noi esaminando la propia condotta deve calarsi in ciascuno dei ruoli presenti in questo Vangelo.

Nel ruolo delle “pecore” mi ritrovo fra quelle che Gesù definisce “le mie pecore”? ….ma non per il semplice fatto che mi piacerebbe essere dei suoi, ma piuttosto perché realmente l’amore verso Dio mi spinge a una ricerca e una conoscenza profonda di Lui? Riconosco e ascolto la sua voce che mi parla attraverso la Sacra Scrittura, la Chiesa e una retta coscienza? Cerco di mettere in pratica i Suoi insegnamenti e comandamenti? Mi sento una cosa sola con tutti i battezzati e contribuisco a costruire questa unità?

Come pastore sono mosso da un desiderio di guadagno personale o tengo a cuore il bene del “gregge” che mi è stato affidato proteggendolo e guidandolo con amore e con l’esempio donandomi totalmente?

Mi sforzo e riesco a dominare quel “lupo” che c’è in me, frutto del peccato, che scaturisce dall’invidia, dalla gelosia, dall’egoismo, dalla superficialità, dal rancore e ogni desiderio di vendetta?

Ritiro eremo 14-15 aprile 2018

Fraternità, luogo dell’amore

Moltiplicazione dei piani – Ecumenismo – Identità cristiana chiara senza scenderai.

Vocazione è spendersi per l’altro. Sappiamo farne tesoro dente fatiche del fratello?

Triduo Pasquale e vita.

Come viviamo la presenza di Cristo risorto nella nostra vita?

II DOMENICA DI PASQUA (anno B)

 

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Il vangelo di oggi ci parla di quel famoso giorno che cambio` la vita dei credenti: il primo giorno della settimana, la domenica, il giorno della resurrezione di Cristo.
Il vangelo ci presenta in quello stesso giorno due scene opposte destinate a fondersi. In questa fusione si completera` quel processo della resurrezione che e` cominciata con Cristo e arriva a compimento nella vita di ogni credente.
Da una parte abbiamo un sepolcro aperto…..dall’altra una porta chiusa. Da una parte c’e` movimento, incontro….. dall’altra c’e` isolamento, staticita`. Da una parte una manifestazione di vittoria, trionfo….dall’altra uno stato d’animo di sconfitta. Da una parte si parla di pace……dall’altra di paura.
Come possiamo vivere questo passaggio da chiusura, staticita`, isolamento, paura, sconfitta… ad….. apertura, movimento, incontro, trionfo, pace? Questo “passaggio” che non e` altro che la Pascua avviene con Gesu` al centro della nostra vita. Dice il brano di oggi che Gesu`”stette in mezzo a loro“. Dalle azioni di Gesu` ci vengono indicate tre condizioni fondamentali per vivere questo passaggio:

1) Sentire vicino a noi la presenza di Gesu` e il conforto. Non dobbiamo sentirci soli perche` la solitudine ci scoraggia.
2) Uscire da noi stessi, dall’essere ripiegati su noi stessi, sul nostro dolore, ma guardare verso Lui, le Sue piaghe, segno del grande amore per ciascuno di noi, che siamo stati salvati a caro prezzo.
Altro messaggio che ci trasmettono quelle piaghe e` che qualunque croce portiamo sulle spalle e che sembra ci stia uccidendo, non ha il potere di tenerci inchiodati e sospesi per sempre e nessun sepolcro ci terra` imprigionati per sempre. Cristo ne e` l’esempio.
3) Proprio perche` il sepolcro non puo` tenerci inprigionati ed e` Cristo stesso a muovere la grande pietra che chiude i nostri sepolcri, ci manda fuori, nel mondo, verso l’altro, a predicare, ad amare, a guarire… Proprio come il Padre ha mandato Gesu` nel mondo cosi` adesso Gesu` manda noi. Gesu` ha tolto la pietra e ha soffiato su quei discepoli e lo stesso fa con noi con il soffio dello Spirito per ridare vita a quelle ossa morte. Compie in noi una nuova creazione, ci rida` vita e ci ordina di venire fuori dai sepolcri cosi` come fece con il suo amico Lazzaro.
Quanti cristiani oggi pur avendo avuto tolta la pietra del sepolcro e avendo ricevuto il dono dello Spirito Santo rimangono dentro il sepolcro e da li guardano verso fuori ma senza uscire…. Questi sono coloro che vivono un eterno lutto per la perdita di una persona tanto amata rimanendo fermi al venerdi` santo. Non riescono a dare una risposta a quella domanda che Gesu` stesso resuscitato fece alla Maddalena in visita al sepolcro: “Maria, perche` piangi?“…. E ancora coloro a cui traspare quella costante tristezza nel volto che viene da un cuore deluso per dei sogni infranti come capito` a tutti gli apostoli. Altro esempio ancora di rimanere fermi dentro il sepolcro senza uscirne sono coloro che rimangono fermi al passato nei ricordi e nei rimpianti senza essere capaci di riconoscere le nuove opportunita` del presente come capito` ai discepoli di Emmaus….

Queste tre condizioni sopra elencate sono costitutive e si realizzano nella Chiesa, senza la quale non si puo` realizzare questo incontro: “Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro” quel primo giorno della settimana, quella domenica, giorno dell’assemblea cristiana. Assente col corpo e chiuso col cuore, infatti non credette all’annuncio dei suoi confratelli: “Abbiamo visto il Signore!“. La domenica successiva (Otto giorni dopo…) il Signore compare di nuovo cosi` come anche oggi si fa presente sotto altre sembianze tutte le domeniche nell`Eucaristia e lascia un messaggio che, piu` che per Tommaso e` per ciascuno di noi: “Non essere incredulo, ma credente….Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!“.

Con la parte finale del vangelo di oggi Gesu` vuole sottolineare ancora di piu` l’importanza della Chiesa come Sacramento Universale di Salvezza. Molti dei segni compiuti da Gesu` sono stati scritti in questo Libro, redatto, conservato e trasmesso dalla Chiesa nei secoli. Molti piu` segni ha compiuto Gesu` davanti ai suoi discepoli che attraverso la trasmissione orale ne sono e saranno i testimoni nei secoli.
Gesu` ci chiama alla vera fede e verso il vero Dio. Due errori frequenti in cui si cade con facilita` anche nei nostri tempi e` credere in Gesu` ma non essere Chiesa (vedi la prima lettura di oggi: At 4,32-35) o essere parrocchiani ma non credere e seguire Gesu` Cristo.
E io dove sto?

II Domenica di Quaresima (B)

Mc 9,2-10        

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.

Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 

Il vangelo di oggi ci racconta di una esperienza mistica a cui ebbero parte Pietro, Giacomo e Giovanni; è inserita nel viaggio di Gesù con i Dodici verso Gerusalemme dove avrebbe completato la sua missione attraverso la Sua passione, morte e risurrezione. Questo brano della trasfigurazione è preceduto dalla professione di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29) e da lì Pietro riceve il mandato da Gesù secondo il racconto parallelo dell’evangelista Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”(Mt 16,18). Continua il brano col primo annuncio della passione e qui Pietro vacilla nell’intento di difendere Gesù. Ne scaturisce il successivo insegnamento sulle condizioni del discepolato: perdere la propria vita per Gesù e il vangelo, rinnegare se stessi, caricare con la croce e seguire i Suoi passi. Un messaggio forte e difficile da accogliere….

Dopo questa lunga ma fondamentale introduzione ecco il giorno in cui Gesù chiama con sé Pietro Giacomo e Giovanni per salire sul monte.

Perchè loro? Perché solo loro? Se i Dodici erano un gruppo unito, affiatato, perché non avrebbero potuto vivere assieme questo momento di rivelazione e di gloria così come hanno vissuto assieme tutti gli altri momento belli e meno belli del loro camino fino a quel momento? A primo impatto questa situazione può sembrare un’ingiustizia da parte di Gesù verso il resto degli apostoli e può sembrare che ci siano delle preferenze nel cuore di Gesù.

Cerchiamo di rispondere una per volta alle domande che ci siamo posti.

Perché loro?

Come già mostrato nella lunga introduzione sopra, Pietro ha ricevuto da Gesù una missione di grande responsabilità (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18)) e da lui dipenderà la vita della Chiesa di tutti i secoli per cui deve avere delle basi solide, delle certezze affinché non vacilli nel momento della prova e sia di sostegno, di aiuto per gli altri.

Giacomo e Giovanni, i fratellini di giovane età, soprattutto Giovanni, che insieme ebbero il coraggio di lasciare il padre e le reti e seguire Gesù. Sono i più teneri e forse i più fragili; non hanno avuto ancora il tempo di fortificarsi con le esperienze della vita e hanno lasciato tutto e posto la loro piena fiducia in Gesù. La persecuzione e il duro martirio di Gesù sarebbero stati motivo di perdita per loro se non avessero avuto la certezza che dietro quell’umanità ci fosse un mistero molto più grande e arcano.

Perché solo loro?

Noi tendiamo a vedere questa esperienza mistica come un regalo, un premio, un privilegio e certamente lo è, ma trascuriamo che tutto nella vita ha un costo. Vivere una esperienza del genere allontana da una realtà presente, scombussola….e per questo fu un’esperienza breve anche se molto intensa. Dalle parole di Pietro vediamo come si è provocato in lui un disorientamento dalla realtà: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosé e una per Elia”. Pietro ha perso la cognizione del tempo, ha dimenticato che a valle ci sono altri nove compagni che li attendono, ha dimenticato la missione che stanno svolgendo nel mondo, perché erano arrivati fin li. Eppure era proprio Pietro che andò a cercare Gesù quando si era ritirato in preghiera e la gente lo cercava, come a ricordare a Gesù che erano lì per le pecore senza pastore e necessitate. Adesso Pietro non sa cosa dire fra paura e stupore, ma Gesù li riporta alla realtà, scendono dal monte e continuano la loro missione verso Gerusalemme. Gli viene vietato di parlare con gli altri di questa esperienza fino al giorno della Sua resurrezione. Che difficile mantenere un segreto su qualcosa che non si è ben capita e di cui c’è bisogno di condividere per trovarne risposte e portarne assieme il peso.

Si, si parla proprio di peso…. Una mistica scriveva in un suo diario la difficoltà nel tornare alla quotidianità dopo aver vissuto esperienze mistiche. Come se la routine della vita non bastasse più, come se la vita presente risultasse scialba dopo la dolcezza sperimentata. Possiamo fare un paragone con ciò che ci capita a noi quando stando al sole rimaniamo abbagliati per la forte luce e poi entrando in una stanza per un pò non riusciamo a vedere niente. Cosí anche capita nella vita mistica. Un dono ma, che ha il suo costo. Per questo motivo Gesù non chiama tutti sul monte a vivere questa esperienza, non è utile, non è necesario, non serve caricare tutti con un peso che magari non sarebbero in grado di portare. Bastano tre testimoni (cfr. Mt 18,16; Dt 19,15) per sostenere a tempo opportuno la fede di tutti.

Gesù ci ha dato la preghiera per vivere una dimensione di intima unione col divino. Tutti attraverso la preghiera possiamo accedere a questa dimensione che non provoca un allontanamento dalla realtà, anzi, ci aiuta a vivere il presente in modo speciale, la comunione con Dio nel presente e introduce l’eternità nella caducità della vita materiale. La voce dalla nube ci indica il camino: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”.

Festa della Sacra Famiglia di Nazaret (B)

Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

Oggi, festa della Santa Famiglia di Nazaret, Giuseppe, Maria e il Bambino Gesù.
Persone che sempre guardiamo separatamente oggi la Chiesa ci invita a guardarle come famiglia, come unico corpo, luogo sacro, istituzione perfetta. Realtà che prende il suo significato teologico dal mistero della Santissima Trinità e struttura molto stabile che possiamo paragonare allo sgabello che poggia su tre piedi.
È la singola persona che contribuisce a fare Santa una famiglia o è una famiglia Santa che genera una persona Santa?
Beh, certamente la interazione è sempre reciproca però sappiamo con certezza che molti dei problemi dei giovani di oggi e futuri uomini e donne di domani hanno radici insanabili in famiglie disagiate.
Tutta la vita di una persona si forma nell’ambito familiare, le sue relazioni future nella società, la stabilità, il rispetto, la capacità ad assumere e mantenere impegni con gli altri, l’autostima….e secondo questa crescita nell’ambito familiare poi va a costruire modelli di famiglia più allargata quali gruppi di amici, la famiglia parrocchiale, comunità religiose, la vita di un villaggio, paese o città, le relazioni nell’ambiente lavorativo.
La Chiesa oggi ci chiama a guardare la Famiglia di Nazaret come modello per le famiglie, modello di amore, di fede, di fiducia, unità, dove di principale importanza ha la volontà di Dio che supera qualunque altro aspetto.
In modo personale, Giuseppe, Maria e il Bambino Gesù hanno detto il loro “si” alla volontà del Padre e in quel si hanno incontrato la disponibilità dell’altro, la forza nelle prove, la capacità di realizzare il progetto di Dio, la santità.
Preghiamo il Signore per tutte le famiglie e lavoriamo sulla famiglia per trasformare il mondo.

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